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MIGRAZIONI E SVILUPPO: L’UE AD UN BIVIO

Le norme comunitarie, il regolamento Dublino 3 e la direttiva sui rimpatri – che riprendono la normativa internazionale – in particolare la Convenzione di Ginevra e il protocollo di New York relativo allo stato dei rifugiati politici, prevedono che la domanda di asilo politico richiesta da chi provenga da zone di guerra o in fuga da persecuzioni sia trattata dallo Stato UE in cui il migrante arriva anche in maniera irregolare. Ciò pone un grosso problema per i paesi rivieraschi che costituiscono la frontiera esterna dell’UE, in particolare i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Tra l’altro per identificare il paese che sia tenuto ad esaminare la domanda del richiedente la normativa europea prevede che il paese dove arriva il migrante sia tenuto ad identificarlo innanzitutto prendendo le impronte. Dati che vengono poi inseriti in un archivio europeo in modo da evitare che il migrante possa richiedere l’asilo anche in altro paese in cui successivamente si reca. In effetti, è sempre più raro che il migrante sia disposto a farsi identificare in Italia, soprattutto se la sua destinazione sia un altro paese europeo. Anche perché, una volta ottenuto il permesso di soggiorno nel paese di arrivo, sempre in base alla normativa vigente, egli è tenuto a restare nel territorio di questo Stato e, anche se riesce a raggiungere la meta desiderata, non può trovarsi un lavoro in quanto non si tratta di cittadino europeo. La normativa dunque, invece di favorire una reale integrazione, non fa che creare una muraglia per i migranti che continuano ad andare da un paese all’altro. Non esiste – è meglio chiarirlo – nessuna politica di integrazione dell’UE o, per essere più chiari, ormai ogni paese decide in proprio tenendo conto delle condizioni politiche e sociali del paese stesso. Se è vero che l’Italia giustamente è stata sanzionata per non aver aperto i centri di identificazione per accelerare l’esame delle richieste, altri paesi come l’Ungheria hanno deciso di alzare nuovi muri per bloccare i migranti alle frontiere. Recentemente la Svezia ha ripreso i controlli alla frontiera per chi proviene dalla Danimarca e analogamente ha fatto la Danimarca per chi proviene dalla Germania. Ovviamente la UE ha inviato una lettera di messa in mora all’Italia per la mancata applicazione del regolamento che è il primo passo di una procedura di infrazione senza ottenere una risposta dal governo laddove il presidente Mattarella, all’incontro col corpo diplomatico al Quirinale ha ribadito che “chiudere le porte difronte a queste masse di esseri umani che fuggono da guerre, fame e oppressione equivale a cancellare conquiste civili e sociali faticosamente raggiunte”. Nel difficile contesto politico e sociale che stiamo attraversando a livello globale, è davvero illusorio pensare che basti un muro per fermare queste nuove migrazioni. Innanzitutto, perché non è solamente una emergenza umanitaria ma di flussi migratori determinati non solo da guerre e persecuzioni ma anche dalla fame e dalla mancanza di un futuro. Ai milioni di disperati provenienti dal Medio Oriente – la Siria in particolare – ma anche dall’Iran – si aggiungono altri milioni di esseri umani provenienti dai paesi della primavera araba – provocata e appoggiata dagli stessi governi europei – ma anche dall’Afghanistan e dai paesi della grande pianura del Bengala (Bangladesh, Pakistan). Né si può distinguere più tra chi fugge in cerca di asilo e chi solo per trovare lavoro. Le rotte dell’emigrazione sono diverse e interessano i paesi più sviluppati a livello mondiale – in primo luogo l’USA e il Canada per chi proviene dal Sud America – mentre l’Europa civilizzata è la meta agognata sia per chi proviene dall’Est che per chi proviene dal Sud del mondo. Non si può parlare più di un problema umanitario ma di fenomeno strutturale di una economia ormai integrata a livello mondiale che crea periodicamente nuove sacche di povertà non solo all’interno dei propri paesi ma soprattutto nei paesi che per secoli sono stati prede dello sfruttamento e della dominazione dei paesi cd. civili. L’Africa per secoli ha potuto contare su un’autosufficienza alimentare ma – passata l’euforia del post-colonialismo degli anni ’60, masse di esseri umani sempre più affamate si avvicendano alle sponde del mare nostrum per sfuggire a persecuzioni, guerre e malattie. L’Europa si sta dimostrando impreparata a gestire questi nuovi fenomeni: i principi umanitari cui ci si richiama sono spesso messi in discussione dagli stessi paesi membri dell’UE. Senza voler essere catastrofisti, siamo ad una svolta dalla storia umana che richiede con urgenza, e con rigore, un radicale mutamento della politica economica mondiale; un radicale cambiamento del modo di produrre che produce un’enorme accumulazione di denaro nelle banche che può trasformarsi in carta straccia e una continua e pericolosa erosione delle condizioni di vita di miliardi di esseri umani. Al centro degli interessi degli Stati non può esserci più il benessere per pochi, l’accumulazione di ricchezza senza fine per pochi milioni di privilegiati ma la conservazione della specie umana. Bisogna dimenticare quello che è stato fino ad oggi la politica europea fondata sulla potenza e sulle armi, bisogna dare fondi per la ricerca scientifica, ricercare nuove fonti di energia che non siano inquinanti, assicurare per i prossimi decenni l’uso dei prodotti agricoli, dell’acqua se non si vuole arrivare al dissesto di tutto il pianeta. Se esaminiamo l’accordo raggiunto a Parigi di abbassare la soglia della temperatura del pianeta nei prossimi anni, esso prevede già una limitazione dell’uso del combustibile fossile che potrebbe, se applicata, invertire la rotta creando nuovi posti di lavoro nel settore delle energie rinnovabili e programmare un diverso sviluppo dell’agricoltura. Obiettivo che possiamo realizzare solo col contributo di tutti i paesi. Se ci sarà collaborazione in questo senso, se sarà riportata la pace nei paesi del Medio Oriente, potremo davvero affrontare l’emigrazione come un fenomeno del tutto naturale, anzi foriero di sviluppo economico e sociale, mandando a casa chi oggi ancora proclama contro i migranti la politica della chiusura e dei respingimenti.

(Avv. E. Oropallo)

Migrazioni e sviluppo, l’UE ad un bivio

 

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